Mercosur design: identità e diversità

Prof. Tonino Paris

Direttore del Master Internazionale – Dipartimento ITACA – Università di Roma “La Sapienza”

Nei cosiddetti “Paesi in Via di Sviluppo”, via, via che si afferma il processo di democratizzazione, si sprigiona nell’area del design una capacità di sperimentazione che pochi prevedevano. Del resto negli ultimi anni il tasso di sviluppo del loro prodotto interno è mediamente di gran lunga superiore a quello dei Paesi della Comunità Europea.

Si tratta di un fenomeno che investe i Paesi dell’area asiatica (Cina e India in primo luogo), ma che investe, e non da poco, anche i Paesi dell’America Latina, nonostante la recente crisi economica che ha attraversato alcune regioni di quel continente. Il fenomeno, che sarebbe interessante analizzare nei suoi aspetti politici, economici, sociali, culturali, in questo numero della rivista, viene esaminato attraverso un’indagine sul design che oggi l’America latina esprime. Intendendo per design la capacità di progettare e fabbricare l’artificiale, ovvero tutti gli artefatti materiali e immateriali che vengono prodotti per rispondere ai vecchi e ai nuovi bisogni dell’uomo.

L’America Latina è una vasta area, che con il Mercosur ha cercato di darsi un mercato comune, ma che certamente al suo interno ha cultura, tradizioni, economie, addirittura lingue differenti (spagnolo e portoghese). Nell’analisi nelle espressioni del design di una così vasta area geografica, il tema delle diversità e delle identità è certamente quello più interessante da indagare.

Proprio su questo tema, la Rete Mercosur-design con la cooperazione italiana ha promosso il Convegno “Mercosur-design: Identità e diversità”. Il Convegno si è tenuto l’8-9 dicembre del 2004 nella sede del Mercosur a Montevideo, con personalità della politica, della economia, della cultura del design e delle arti di confine, i cui contributi sono stati selezionati per costituire questa pubblicazione. Ne emerge uno spaccato dei diversi approcci dei Paesi dell’area nei vari aspetti del design: dalla formazione alla innovazione tecnologica, dalla produzione alle strategie di politica economica, dal linguaggio alla sperimentazione. Un quadro complesso e ricco di contraddizioni.

Nell’area del design – come del resto in altri campi della produzione culturale – sono evidenti i condizionamenti dei modelli europei. Ma comincia ad essere sempre più evidente l’interesse verso forme di espressioni autoctone di grande interesse. Sono presenti infatti una molteplicità di sperimentazioni e attività produttive, che recuperano il rapporto con le tradizioni locali e la complessità culturale che attraverso tutto il continente, pur in presenza dei condizionamenti propri della globalizzazione.

Il condizionamento dell’esperienza di Ulm nella formazione dei designer ha investito – e in qualche caso ancora investe – gli ordinamenti didattici delle scuole dei vari Paesi dell’America Latina, come nel caso della Scuola superiore di disegno industriale (ESDI) creata a Rio de Janeiro nel 1964. Un condizionamento che ha dato metodo e disciplina, ma che ha fatto sviluppare una nozione di design tutta interna all’etica e al linguaggio della modernità, che ha inciso nei processi educativi, tuttavia rimanendo estranea ai bisogni peculiari sia del mercato locale, sia alle esigenze delle imprese a darsi un modello di sviluppo specifico. E forse non è eccessivo imputare anche a tale condizionamento il forte ritardo tecnologico e scientifico dei Paesi dell’area.

Forse è proprio questo comune riferimento alla tradizione europea del design che costituisce il fattore d’identità che attraversa tutto il continente: la matrice di una identità che si è poi, via, via “ibridata” , tanto per l’influenza sulle culture locali del processo di globalizzazione che ha investito l’intero pianeta, quanto per un processo tutto interno ai Paesi dell’America latina che parte all’inizio degli anni ottanta e che oggi è fenomeno diffuso. Ovvero la riscoperta e la valorizzazione di tutto il potenziale delle tradizioni e delle culture dell’area, che finalmente sono riuscite a sprigionare tutta la dimensione creativa e di indipendenza che è l’espressione più autentica delle popolazioni del continente latino americano.

D’altra parte la multicultura e la multietnicità del continente, la permeabilità sempre più forte fra i vari paesi, come il mercato che tende ad unificarsi nel Mercosur , e la velocità della comunicazione dei fenomeni sociali e delle espressioni culturali dal contesto nel quale si producono agli altri contesti, fanno sì che la diversità e la identità tendano a dissolversi in forme “ibridate”.

In ogni caso nel rapporto fra la progettazione di nuovi oggetti d’uso e la tradizione, è diffuso l’interessante e raffinato metodo del trasferimento funzionale, ovvero la riproposizione dei caratteri dei prodotti tipici della cultura materiale da una tipologia ad altra. Così i caratteri dei prodotti destinati alle ritualità proprie del lavoro, alimentano nuovi prodotti che nelle ritualità dello spazio domestico sono destinati alla cura del corpo; i caratteri di oggetti della vita di relazione nei luoghi storici destinati al mercato e agli scambi, o nelle manifestazioni religiose, si trasferiscono su oggetti destinati alle pratiche dell’uso quotidiano degli spazi collettivi della città. È raro che ciò produca oggetti vernacolari in quanto in generale l’approccio tende a reinterpretare piuttosto che riproporre. Non è utilizzata la modalità riproduttiva di oggetti specifici, di forme e materiali, tipica dell’artigianato, c’è piuttosto una raffinata, colta e ironica interpretazione della tradizione e della storia. Anche nel rapporto con l’uso del linguaggio e nella ricerca formale è diffusa la pratica del trasferimento: i colori di una folla in processione, di un bazar, dei materiali naturali, dei costumi tradizionali ecc. si trasferiscono su nuovi oggetti. Le geometrie, le forme delle decorazioni della iconografia antica, diventano le regole di riferimento per nuove proposte.

Un altro elemento di caratterizzazione della identità dell’approccio al design nel continente latino americano, o per lo meno dei paesi con il più alto tasso di sviluppo del prodotto interno, è la pratica dell’autoproduzione. Una pratica interessante tanto più in quanto è un fattore di identità che tuttavia preserva e produce la diversità. La diversità è nei prodotti proposti, nel loro radicamento con la storia, la cultura, i materiali propri delle diverse condizioni di contesto geografico, economico, sociale, e antropologico di riferimento. L’identità nel metodo: l’autoproduzione appunto. Un sistema che parte dalla tradizione dell’artigianato ma lo supera, senza tuttavia confrontarsi con i processi produttivi che si sono si storicamente determinati nella storia dello sviluppo nei modelli industriali avanzati, basati sulla produzione di un grande numero per un mercato indifferenziato e il più grande possibile. Il progettista infatti diventa imprenditore per produrre ciò che progetta, per produrlo con materiali, tecnologie e mezzi di fabbricazione di cui dispone, ma per un mercato specifico che limita di fatto il numero dei pezzi da produrre e consente al progettista di coltivare nuove idee per nuovi progetti, nuovi prodotti, insomma di essere protagonista di un sistema circolare virtuoso che continuamente lo sollecita per nuove proposte. Ciò lo distingue tanto dall’artigianato tradizionale su cui si sedimentano tecniche di lavorazione e tipologie di prodotto sempre uguali, quanto dal sistema di produzione industriale nel quale i segmenti del processo (progetto, produzione, commercializzazione ecc.) sono specifici e gestiti da diversi soggetti.

La cultura dell’autoproduzione si è sposata con l’uso di materiali riciclati. Una tendenza diffusa che ha certamente nei fratelli Campana gli antesignani di una ricerca che ha fatto scuola, tanto che giovani gruppi come i Notechdesign ne hanno fatto il manifesto della loro attività progettuale. È una interessante ricerca che del designer recupera la dimensione dell’homo faber, della sua manualità del suo ingegno, della sua creatività. E al prodotto, al di là del significato simbolico che assume rispetto alla sua eco-compatibile, spesso conferisce il contenuto proprio dell’opera artistica, la sua capacità a coinvolgere tutti i sensi.
Quello dell’autoproduzione è certo un approccio che fa discutere e che taluni considerano causa di rallentamento dell’affermazione dei sistemi industriali nazionali, dell’avanzamento della loro capacità di misurarsi per competitività e innovazione con quelli dei paesi industriali avanzati.

È tuttavia indiscutibile che sia particolarmente originale e innovativa la sperimentazione che attraversa il design del continente dell’America latina: nel design di prodotto, nella moda, nella grafica e comunicazione visiva, nell’architettura degli interni.

È un cammino che innova i prodotti assumendo per la composizione della decorazione la matrice grafica della figurazione etnica (Goya Lopes, J. Cunha, Jorge dos Anjos, Rubem Valentim, David Glat, Ray Viana, João Silva, Ana Luisa e Maria Cristina Cuervo).

Riscoprendo pratiche e tipologie di prodotto della tradizione locale, come il reimpiego da parte di molti designer contemporanei del diffuso banquinho per nuovi usi, o l’uso di minerali da parte di Marcenaria Baraúna o il riferimento ai gaúchos da parte di Ilse Lan, o come la parete in pau-a-pique nella loggia Forum, del progetto di Isay Weinfeld,o nell’uso del legno da parte di Maurício Azeredo, o dei residui delle palme da cocco resíduos de coqueiro negli esperimenti di Riacho Doce, o dei semi in quelli di Tereza Xavier, o delle fibre di piassava in quelli di Carla de Carvalho.
Il design dell’America Latina è uno straordinario fenomeno culturale la cui complessità la sua complessità, il suo fascino, la cui dimensione economica e sociale, la cui prospettiva storica, rappresentano in modo prorompente la presenza del continente dentro i problemi della contemporaneità.